Caso Diciotti: “Processate Salvini, chiuse i porti per scelta politica”

Sequestro di persona aggravato: la Sezione dei reati ministeriali del Tribunale di Catania chiede di poter procedere nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini. L’accusa: ha “abusato dei suoi poteri” e ha “privato della libertà personale 177 migranti di varie nazionalità giunti nel porto di Catania a bordo dell’unità navale di soccorso Ubaldo Diciotti”. Il pattugliatore della Guardia Costiera ormeggiò nel porto etneo tra il 20 e il 25 agosto 2018 prima di ottenere l’autorizzazione allo sbarco – il “Pos”, acronimo di place of safety – dal Viminale. Il collegio –composto dai giudici Nicola La Mantia, Sandra Levanti e Paolo Corda – che “l’omessa indicazione del Pos da parte del Dipartimento per le Libertà civili e per l’Immigrazione, dietro precise direttive del ministro dell’Interno”, avrebbe determinato “una situazione di costrizione a bordo delle persone soccorse fino alle prime ore del 26 agosto”. Una decisione, scrivono i giudici, che avrebbe provocato “la con- seguente apprezzabile limitazione della libertà di movimento dei migranti”, avendo protratto “la permanenza dei migranti per cinque giorni a bordo di una nave ormeggiata sotto il sole in piena estate, dopo aver già affrontato un estenuante viaggio durato numerosi giorni. “La necessità di dormire sul ponte della nave – continua il Tribunale dei ministri – le condizioni di salute precarie di numerosi migranti, la presenza a bordo di donne e bambini, costituiscono circostanze che manifestano le condizioni di assoluto disagio psico-fisico”, che erano “assolutamente note al ministro, costantemente in- formato della situazione dalla ‘catena di comando’ che faceva a lui riferimento”.

Nessuna scelta politica, continua il tribunale, giustifica il comportamento di Salvini: “Va ribadito che questo tribunale non intende censurare un ‘atto politico’, bensì lo strumentale e illegittimo utilizzo di una potestà amministrativa”, quella del “dipartimento per le autorità civile, che costituisce un’articolazione del ministero dell’Interno presieduto dal senatore Matteo Salvini, essendo l’intera vicenda caratterizzata da un’evidente presa di posizione di quest’ultimo, che ha bloccato e influenzato l’iter della procedura amministrativa”. Il tribunale esclude quindi la scriminante delle “ragioni politiche”. E ancora: “La decisione del ministro non è stata adottata per problemi di ordine pubblico in senso stretto, bensì per la volontà meramente politica – estranea alla procedura amministrativa prescritta per il rilascio del Pos – di affrontare il problema della gestione dei flussi migratori invocando, in base a un principio di solidarietà, la ripartizione dei migranti a livello europeo tra tutti gli stati membri”. E qui il tribunale chiarisce ulteriormente: “Il ministro ha agito al di fuori delle finalità proprie dell’esercizio di potere conferitogli dalla legge, in quanto le scelte politiche o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco dei migranti in un luogo sicuro”. 

NELLE 53 PAGINE firmate dal collegio di giudici, infine, anche la segnalazione di una ritrattazione “sospetta” da parte di due prefetti. I giudici nel loro supplemento di indagine approfondiscono un elemento: a quando risale la richiesta ufficiale del Pos da parte della Diciotti. Perché è da quel momento che deve risalire la consumazione del reato. La Diciotti chiede il Pos tre volte: il 15, il 17 e il 24 agosto. La prima richiesta è ritenuta “anomala”, poiché preventiva, in quanto doveva ancora partire il soccorso vero e proprio. Quindi non va presa in considerazione. La seconda, quella del 17, secondo il tribunale dei ministri è invece già una richiesta “formale”. “Il 17 agosto – sostiene il tribunale – non v’erano ragioni ostative allo sbarco, bensì la volontà politica di portare all’attenzione dell’Europa il “caso Diciotti … Salvini ha ritenuto di dare seguito a un proprio convincimento politico, che ha costituito uno dei cardini della sua campagna elettorale quale leader della Lega”. A confermare che la richiesta del 17 fosse formale erano stati, dinanzi ai pm di Agrigento, scrive il tribunale, “tutti i protagonisti della vicenda in possesso di specifiche competenze”. Il tribunale cita il contrammiraglio Sergio Liardo, il prefetto Gerarda Maria Pantalone, capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, e il suo vice, il prefetto Bruno Corda. Ascoltati dal Tribunale dei ministri, Pantalone e Corda cambiano versione: la prima sostiene di non aver considerato quella del 17 una richiesta di Pos, il secondo la definisce “anomala”. Il tribunale definisce “sospette” le “rettifiche” dei due prefetti. E sul fatto che a decidere tutto fosse Salvini non ha dubbi. E per dimostrarlo cita le parole dello stesso Corda: “Ho più volte sollecitato il prefetto Piantedosi, che in un paio di occasioni mi ha detto di attendere perché questa era l’indicazione di Salvini”.

** Articolo firmato insieme al collega Antonio Massari **

** Articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, pagina 3, venerdì 25 gennaio 2018 **

** Credits photo: copyright SaulCaia.it **

Saul Caia

Saul Caia

Giornalista freelance. Dopo alcune esperienze all'estero, tra cui Spagna, Canada e Stati Uniti, sono rientrato in Sicilia. Oggi collaboro con Il Fatto Quotidiano realizzando video e articoli di cronaca e approfondimento.
Tra i riconoscimenti più importanti ho ricevuto il DIG Awards 2017, il premio 'Roberto Morrione' 2012, il premio giornalista emergente in Sicilia 'Giuseppe Francese' 2016.
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