Eni, l’unico complotto era contro i nemici di Descalzi

Comincia l’inchiesta sulle tangenti che inguaia l’ad e un anonimo lancia l’attacco ai membri del cda ostili, con l’avallo di due Procure. (articolo firmato insieme ad Antonio Massari)

È il 23 gennaio 2015 quando un esposto anonimo giunge alla procura di Trani. È raro che un anonimo avvii all’istante un’inchiesta, ma di lì a poco la procura apre un fascicolo. Qualcuno vuole “destabilizzare i vertici dell’Eni”: c’è un complotto contro l’ad di Eni, Claudio Descalzi. C’è però una bizzarra coincidenza. In quel momento, il Descalzi vittima del presunto complotto, sul quale s’indaga a Trani, è lo stesso Descalzi indagato a Milano, per corruzione internazionale, nell’inchiesta sulla più grande mazzetta della storia: 1,2 miliardi finiti, secondo l’accusa, a politici nigeriani per acquisire il giacimento Opl 245. Se l’anonimo avesse ragione, Descalzi sarebbe in una sorta di dottor Jekill e mister Hyde: da un lato il presunto delinquente nella maxi corruzione, dall’altro l’amministratore onesto che una fantomatica associazione per delinquere prova a rimuovere per realizzare i propri scopi criminali. Va da sé: un’inchiesta rischia d’indebolire l’altra.

IL FASCICOLO VIENE affidato al pm di Trani Antonio Savasta. Lo stesso Savasta che, a gennaio, ha evitato un procedimento del Csm per incompatibilità ambientale, chiedendo il trasferimento a Roma, dopo una serie di esposti che, a Trani, lo collegavano a una “rete di conoscenze” che avrebbero potuto influenzare indagini. Accuse tutte da dimostrare e che non riguardano l’indagine in questione. Ma torniamo all’anonimo finito nelle mani del pm Savasta: il documento descrive una associazione per delinquere – finalizzata allo smaltimento illecito di rifiuti transnazionali – che vuole sostituire Descalzi con un altro manager, per poi controllare i rifiuti di Eni ed Enel. Chi dovrebbe sostituirlo? L’ad di Saipem, Umberto Vergine, o in subordine, Franco Bernabé, ex ad di Eni e Telecom Italia. L’anonimo suggerisce che l’avvocato Luca Santa Maria “guarda caso” è il legale di Bernabé” e “guarda caso” è il legale di “tale Enzo Armanna” il quale, a sua volta, “guarda caso, nell’estate 2014 diventa il grande accusatore di Descalzi”. Insomma, secondo l’anonimo, potrebbe esistere un filo rosso che collega il complotto contro Descalzi all’inchiesta milanese. Ma c’è di più: il complotto sarebbe ordito dal consigliere di amministrazione di Eni, Luigi Zingales, economista che insegna alla Chicago Booth University, indicato nel cda dal Tesoro nel 2014. Mai sfiorato da inchieste. Un’invidiabile reputazione internazionale. Immaginare Zingales, alla guida di questo complotto richiede parecchia fantasia. Ma l’azione penale è obbligatoria – si dirà – e “guarda caso”, continua l’anonimo, “all’interno del cda Eni” Zingales ha fatto “una serie di interventi che paiono teleguidati … da Armanna”. Immaginare Zingales teleguidato dall’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna è davvero suggestivo.

Di certo c’è solo che Armanna è imputato a Milano e, con la sua collaborazione, sta fornendo importanti riscontri al pm Fabio De Pasquale. Ed è altrettanto certo che Zingales – con la sua collega Karina Litvack – ha chiesto al cda di estromettere dalle riunioni in cui si discute di Nigeria Massimo Mantovani, il dirigente capo degli affari legali che da avvocato che difende Eni nel fascicolo milanese. Non solo. Come chiesto da Zingales, Descalzi sposterà Mantovani, dalla responsabilità dagli affari legali, alla guida del settore gas. E nel frattempo, un anonimo, accusa Zingales di confezionare dossier falsi per far cadere Descalzi e far crollare il titolo di Eni in borsa. Dietro le quinte, racconta sempre l’anonimo, c’è un improbabile quartetto: Franco Bernabè e l’avvocato di Telecom Antonino Cusimano, l’ad di Saipem Umberto Vergine, e l’avvocato Luca Santa Maria. “Un’associazione per delinquere finalizzata all’aggiotaggio”. La procura – che si vede recapitare anche una registrazione audio – delega la Finanza per le indagini e dispone l’acquisizione di atti presso Eni, che consegna decine di comunicazioni firmate Zingales.

Nel frattempo, l’economista si dimette dal cda, per “non riconciliabili differenze di opinione sul ruolo del consiglio nella gestione della società”. La procura chiede a Eni informazioni anche su Litvack. Ma la Finanza ad aprile conclude che non esistono “riscontri certi su quanto asserito dall’anonimo estensore”. Non solo. Segnala anche che le notizie a disposizione dell’anonimo, quelle che hanno avviato l’inchiesta, sono “a conoscenza di un numero ristrettissimo di persone appartenenti a Eni”. La Gdf sottolinea la “estrema competenza” dell’anonimo estensore che – in un secondo esposto – segnala un dettaglio segretissimo: la Procura aveva chiesto di acquisire, in Eni, le mail tra Zingales ed Emma Marcegaglia. Un dettaglio che conoscono in due: la Procura ed Eni. Siamo all’iperbole: o la Procura si scrive gli anonimi da sé, o glieli spedisce qualcuno molto, ma molto vicino ai vertici Eni. E in entrambi casi si tratta di una bufala: su Zingales – scrive la Finanza – non v’è nulla di penalmente rilevante. L’inchiesta resta a carico di ignoti.

S’INDAGA per aggiotaggio. Reato che la Gdf reputa inesistente: il titolo Eni, nel periodo incriminato, ha “seguito un andamento identico a quello del petrolio”. I finanzieri invitano i pm a inviare il fascicolo a Milano, visto che il pm De Pasquale indaga su vicende che paiono connesse. E in effetti il fascicolo parte. Verso Milano? No. Va a Siracusa. Savasta e il suo collega Alessandro Donato Pesce ignorano l’indicazione della Gdf e inviano gli atti a Siracusa. Per competenza territoriale: l’anonimo sostiene che il presunto (e inesistente) gruppo criminale opera infatti a Siracusa. E così, l’ignoto estensore dell’esposto, può continuare a sperare che qualcuno indaghi sul finto complotto contro Descalzi. Perché il manager, nel frattempo, a Milano, è sempre più nei guai. Che il fantomatico gruppo criminale abbia operato in Puglia, o a Siracusa, in fondo dovrebbe fare poca differenza: la Gdf ha scritto che non ha trovato riscontri al reato per cui s’indaga, ovvero l’aggiotaggio. Ma l’ignoto estensore può contare su un improvviso colpo di fortuna. Il 21 novembre 2015 tale Alessandro Ferraro, all’una di notte, vive una scena da incubo: “Mentre facevo passeggiare il cane – racconta ai pm di Siracusa – sono stato fermato da due uomini di colore e un italiano con accento milanese. I tre, dopo avermi minacciato con un’arma da fuoco alla testa, mi hanno costretto a salire all’interno del loro Suv. Hanno aspettato l’arrivo di un loro complice, che ha cominciato a farmi una serie di domande… se fossi stato sentito da un’autorità italiana rispetto agli argomenti delle cene del Caimano…”. Ferraro – che di quelle cene, fino ad allora, non aveva mai parlato con nessuna “autorità italiana” – si spaventa e decide di denunciare il tutto in procura dove, come ovvio, gli chiedono: scusi, ma che accadeva durante le cene al ristorante il Caimano? E Ferraro risponde: ha sentito parlare di un’organizzazione internazionale che vuole destabilizzare l’Eni, appoggiata da Zingales e dalla Litvack. Da chi l’ha saputo? Da tale Massimo Pittaldi il quale – confida Ferraro al pm Giancarlo Longo – gli ha raccontato: Litvack è stata nello studio Cova per “confezionare la nuova campagna stampa contro Descalzi…”.

STRANO. MOLTO STRANO. Perché Massimo Pittaldi non esiste: “È un nome di fantasia”, scopre poi la procura di Milano. E le sorprese non finiscono qui. Ferraro è un amico intimo di Piero Amara: l’avvocato di Eni per i processi ambientali che, proprio a Siracusa, ha affrontato per Enichem il processo Mare Rosso. “Lo conosco dal 2004, epoca in cui lo nominai mio legale di fiducia…”, racconta Ferraro ai carabinieri nel 2010, “… visti i rapporti d’amicizia, in tantissime occasioni ho avuto modo di accompagnarlo anche con la sua autovettura in diverse località… in occasioni d’incontri con politici…”. Insomma, se l’estensore anonimo di Trani doveva avere ottime fonti tra i vertici di Eni, Ferraro è proprio amico di un avvocato del colosso petrolifero. E a Siracusa, dopo aver sentito anche Armanna, i pm decidono di iscrivere nel registro degli indagati, con l’accusa di diffamazione, Zingales e Litvack e l’ad di Saipem Umberto Vergine.

ZINGALES E LITVACK non hanno mai ricevuto alcuna notifica. Il reato, secondo il codice, è procedibile su querela. L’iscrizione è dell’8 luglio 2016. La settimana dopo il fascicolo viene trasmesso a Milano per competenza. E solo il 28 luglio – quando ha ricevuto l’avviso di garanzia per Vergine, con in calce anche i nomi di Zingales e Litvack – Eni è in condizioni di querelare. Un raro caso di reato ex post. Litvack viene esclusa dall’azienda dal comitato controllo e rischi. Ma per gli anonimi estensori è un successo risicato: a Milano il pm De Pasquale mette in fila i fatti. Zingales, Litvack e Vergine – insieme agli atri indagati – vengono archiviati. Non vi fu alcun complotto contro Descalzi. Anzi, a ben guardare, viene il sospetto contrario: erano gli anonimi a complottare contro i due consiglieri.

** Articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano (pag. 10-11), domenica 26 marzo 2017 **

Credits: La foto in evidenza è stata scattata da Luca Mascaro, postata su Flickr.

Saul Caia

Saul Caia

Giornalista freelance. Dopo alcune esperienze all'estero, tra cui Spagna, Canada e Stati Uniti, sono rientrato in Sicilia. Oggi collaboro con Il Fatto Quotidiano realizzando video e articoli di cronaca e approfondimento.
Tra i riconoscimenti più importanti ho ricevuto il DIG Awards 2017, il premio 'Roberto Morrione' 2012, il premio giornalista emergente in Sicilia 'Giuseppe Francese' 2016.
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Giornalista freelance. Dopo alcune esperienze all'estero, tra cui Spagna, Canada e Stati Uniti, sono rientrato in Sicilia. Oggi collaboro con Il Fatto Quotidiano realizzando video e articoli di cronaca e approfondimento. Tra i riconoscimenti più importanti ho ricevuto il DIG Awards 2017, il premio 'Roberto Morrione' 2012, il premio giornalista emergente in Sicilia 'Giuseppe Francese' 2016.

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